Ecco il primo di una breve serie di post sulle Strategie di Marca, tema fondamentale per chi ‘intraprende’ oltre che per noi progettisti. Riflessioni su un aspetto centrale della R&S in azienda:
Volendo consolidare il posizionamento di un marchio è meglio lavorare sul prodotto, il servizio, la comunicazione o – prima ancora – sull’azienda, la marca?
Col termine ‘branding’ si intende l’insieme di contenuti e valori materiali e immateriali che caratterizzano una marca. I caratteri funzionali ed estetici riscontrabili nella gamma dei suoi prodotti, quelli immateriali dei servizi offerti alla clientela e la qualità delle relazioni che l’azienda costruisce con essa.
Una miscela complessa che divide innovatori e followers, non solo per la gamma prodotti, il tipo di servizi o lo stile delle relazioni azienda/cliente, ma anche per come ciascuno di questi elementi si mescola con gli altri dando vita a uno specifico “tipo d’azienda”.
Ora chiunque può dire “ok, non importa, io continuo a fare il mio prodotto ‘al top’ della categoria. Il mercato mi premierà, se non subito, dopo”.
Chi dovesse affrontare in tal modo la questione mostrerebbe una certa incuranza riguardo a quello che generalmente viene definito il ‘potenziale’.
Sembra essere consolidata, infatti, l’opinione che se un prodotto ‘si vende’ senza chiare strategie di Marca, beh, con la presenza di tale visione strategica le vendite potrebbero aumentare notevolmente esprimendo, finalmente appieno, il potenziale aziendale.
A parte questa prima categoria di imprenditori che potremmo forse definire ‘dormienti’ (il mercato probabilmente si dimenticherà di loro come i titolari dei famosi conti bancari) ci occupiamo dei curiosi che chiederebbero certamente per prima cosa perché.
Partiamo quindi proprio dalle possibili domande che esprime quel perché.
Perché bisogna adottare una strategia ‘di marca’ e non basta più il prodotto?
Non posso continuare a essere semplicemente – si fa per dire – un attore del ‘made in italy’?
Non basta proporre in fiera e magari sul mio sito le qualità raffinate e uniche del mio prodotto?
La risposta, come avrete inteso se avete letto la pillola è no. O meglio, si! Si può continuare a farlo pena condannare a morte il reale potenziale dell’azienda e quindi anche del suo prodotto/servizio. Condannare al nanismo anoressico bilanci che potrebbero, invece, esprimersi ben meglio una volta emersa la strategia di marca.
Torniamo quindi al punto: Non si può, NO! Le condizioni sono troppo diverse da quando – ancora fino a pochi anni fa – lo si poteva fare. Ora non si può più e la natura dei diversi NO è varia. Analizziamoli nel dettaglio.
NO #1.
Cosa propone il mercato globale. Istante per istante.
I mercati di riferimento di oramai qualsiasi gamma di prodotti/servizi hanno due caratteristiche fondamentali: sono globali e interconnessi. Ogni prodotto è ‘sulla piazza globale’ qualche istante dopo – se va bene – della commercializzazione e qualche ora dopo possiede tanti più cloni quanto più è interessante, appealing, facile da replicare e – non ce n’è – le leggi sulla tutela del diritto d’autore hanno tempi così lunghi che una PMI è morta prima di arrivare al primo grado di giudizio in una disputa che riguardi un furto di idee e i conseguenti danni commerciali.
I rischi diminuiscono solo se si sceglie di rinunciare ad almeno una delle due qualità dei mercati:
la loro ‘globalità: si decide di perimetrare rigidamente i propri mercati.
l’interconnessione:
si resta sconnessi dal sistema di algoritmi che innervano e aggiornano la struttura dell’offerta in tempo reale. Come sarà chiaro ciò si può fare solo in condizioni molto specifiche e, a dir poco, elitarie.
In qualsiasi altro tipo d’azienda il solo prodotto, a causa del carattere del mercato di riferimento, ha valore molto ridimensionato rispetto a quando comunicazione, distribuzione e percezione del prodotto erano gestiti da ‘protocolli analogici’ e doppino telefonico.
NO #2.
I siti comparatori, un motore di segmentazione complessa del mercato.
Salvo rarissimi casi (prima ma non unica quella delle produzioni specifiche dei territori) l’unicità del prodotto è vinta dalla potenza di proposta del mercato globale. Siamo tutti colpiti dalla mole di clip su youtube che fanno comparazione di prodotti in modo più o meno serio (peggiori fra tutte quelle che alcuni youtuber chiamano ‘challenge’). Il dato in generale ci dice una cosa: il mondo è l’alveo nel quale cerco cosa mi serve e nel mondo ci sono mille risposte a ciò che mi serve!
Ciascuno di noi infatti ha strumenti, nuovi e potenti rispetto al passato, per giudicare fra le centinaia, a volte migliaia di prodotti alternativi, quale sia quello che fa per lui. Se è aumentata l’offerta, come abbiamo visto, occorre osservare come si sia articolato il ventaglio di motivazioni dalle quali dipende la nostra scelta. Ragioni che non dipendono più solo più dalle ‘performances’ funzionali del prodotto che abbiamo in mente ma da elementi meta-funzionali che attengono, genericamente per ora, alle strategie di posizionamento di un prodotto rispetto a un altro. Tradotto: scelgo quello che sogna il mio gruppo d’appartenenza, non la migliore opzione ma la ‘migliore per me’. E’ un fatto di stile non di “best-choise” come si diceva una volta.
NO #3.
Il prodotto puro scomparirà per far posto al prodizio!
Partiamo dalla preistoria ma facciamo presto. Ricordate quando per il divano l’unica strada era andare dal tappezziere? Lui ci accoglieva ci chiedeva cosa volevamo, lo disegnavamo assieme e una volta decisi tutti i dettagli ce lo costruiva e portava a casa. L’artigiano era proprietario di una serie di competenze, delle ‘linee guida’ generali alle quali si adattavano le nostre necessità per dare vita a prodotto/servizio che consideravamo ‘unico’ … anche se, a ben vedere, ciò era tutto da provare.
Qualche decennio più tardi arriva Nike con le prime scarpe personalizzabili online e, fra i primi, rompe un protocollo che sembrava intoccabile: il prodotto industriale è uguale per tutti! Soprattutto all’epoca (almeno una decina d’anni fa … forse di più) possiamo immaginare, specie col senno di poi, quali rogne implicasse quell’idea. Ora più di allora, visto che tale idea si è molto sviluppata e non solo sul sito Nike, è chiaro quanto potente fosse il cambiamento e quali fossero gli obiettivi di marketing:
chiamare l’utente a dire la sua sul prodotto, avendo di ritorno un primo segnale ‘attivo’ per orientare lo sviluppo di nuove linee;
riposizionare verso l’alto ’azienda, avvicinandola a un pubblico ambizioso e creativo che ha superato i problemi di sussistenza potendosi permettere di perdere tempo in queste cosuccie;
fare qualcosa che quasi tutti i concorrenti non erano ancora in grado di fare: produrre una miscela industriale di prodotto e servizio originale, in grado di fidelizzare maggiormente la clientela più opulenta che ha già tutto e, dunque, vuole di più.
caratterizzare la marca come originale, disponibile, creativa, avanti!
CONCLUSIONI
Dopo almeno un decennio quello che noi, con un acronimo/neologismo, chiameremo ‘prodizio’ (prodotto/servizio) si è sempre più diffuso e siamo, oggi, al punto in cui le nove tecnologie di produzione stanno mettendo sul tavolo un’ulteriore spinta all’evoluzione del prodizio: la piccola/media serie industriale prodotta in stampa 3D che apre alla massima personalizzazione, un nuovo ‘custom made industriale’ cui non eravamo ancora abituati a pensare.
Ora ci dobbiamo votare tutti ai prodizi? Certo che no ma, davanti a spinte e idee come queste e per competere efficacemente, non appare conveniente continuare a fare solo prodotto, meglio diventare QUELLI CHE:
- ti permettono di mettere il becco su come è il loro prodotto:
oppure… - te lo fanno funzionare se si rompe e in un tempo ragionevole;
- una volta riparato te lo mandano in tutto il mondo;
- ti chiedono anche come è andata; mentre aspetti che te lo diano stai proprio bene;
- c’hanno la tisana depurativa che ci vai più per quello che per il prodotto;
- li riconosci perfettamente … solo loro fanno così!
Oppure tutto assieme o qualcosa d’altro … importante essere ‘quelli che’ in qualche modo.
Oggi la marca aggredisce fette di mercato globale che mutano carattere e forma di continuo, usando due armi:
massima riconoscibilità
massima capacità di mutare.
Vincono, cioè, ‘quelli che’ mostrano la massima capacità di immergere il cliente in un mondo accogliente, riconoscibile anche se cambia di continuo.
I consumi, anche nelle fasce basse del mercato, sono sempre più caratterizzabili come “acquisto di un’esperienza” piuttosto che “acquisto di un prodotto”.
Il prodizio è una miscela di prodotto e servizio che evolve costantemente, si aggiorna e viene venduta in un’atmosfera commerciale così unica e riconoscibile che emerge dalla superficie dei concorrenti.
Prodizio e ‘ Brand Mood’ concorrono, con pari forza, alla costruzione del carattere della marca e del suo successo se il loro profilo è alto.
STORYTELLING D’AZIENDA
Uno dei modi più efficaci di comunicare lo stile di un’azienda, il carattere di un marchio, si chiama ‘Storytelling d’azienda‘. In chiusura di questo primo post ve ne proponiamo due. I valori dell’azienda sono veicolati dal prodotto, dal cliente, dalla sua gente, in un’atmosfera che rende la marca una cosa “viva”. Il potenziale attrattivo dell’azienda è mosso, come noterete, non più solo dal prodotto, ma da ‘un certo modo’ di fare azienda, nel quale entrano fattori materiali, servizio, componenti emotive e quindi le persone dell’azienda legate al cliente.
Buona visione!
Prodotto per Venerom, racconta i cantieri di un’azienda basata su un forte connubio tra prodotto e servizio, entrambi vestiti sui bisogni del cliente.
Ikea con la gran mole di filmati che produce intende porsi come marchio “evergreen” che cambia nel tempo restando se stesso.
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