Lo scopo del gioco del consumo non è tanto la voglia di acquisire e possedere, né di accumulare ricchezze in senso materiale, tangibile, quanto l’eccitazione per sensazioni nuove, mai sperimentate prima. I consumatori sono prima di tutto raccoglitori di sensazioni: sono collezionisti di cose solo in un senso secondario e derivato.
(ZYGMUNT BAUMAN, Dentro la globalizzazione, Laterza 2007)
Il sociologo di Poznan ci parla della molla che fa nascere il prosumer. L’atto del consumo – ci dice – è l’emozione che proviamo a vestire, accendere, guidare, ascoltare, qualcosa di nuovo.
1_ Le origini del prosumer
Continuiamo il nostro discorso sul Cliente ragionando sul termine prosumer coniato da Alvin Toffler. Ne parlava per la prima volta nel suo “The third wave” (Sperling & Kupfer, 1987).
La sua creatura, era una nuova specie di consumatore chiamato a contribuire alla produzione. La sua attività garantiva l’aumento dei consumi in un mercato già saturo allora. Senza il suo aiuto – diceva – avrebbe vissuto cicli di crisi sempre più serrati e feroci.
Il prosumer ispira, immagina, propone nuovi prodotti e nuovi consumi. Sostiene un comparto industriale sempre più incerto su “cosa sia necessario” produrre? Ma veniamo ai nostri giorni.
2_ Il prosumer oggi
Crasi composta da due termini considerati agli antipodi (consumer – producer) indica, oggi, un grande cambiamento nelle abitudini di chi acquista. Una mutazione profonda che si è palesata da un decennio almeno. Da quando cioè il mercato, oltre che globale, è diventato ‘digitale’.
Il prosumer odierno, infatti, è stimolato dalle nuove tecnologie di produzione. Possiede capacità di scelta nuove, derivate dall’utilizzo del web. E’ accudito dagli algoritmi intelligenti e dai ‘Big Data’. Queste differenze, inimmaginabili all’epoca, fanno dell’attuale prosumer un “super” prosumer.
Intendiamoci: si guarda bene da mettersi ‘sul pezzo’ a produrre, tanto meno si occupa dei bilanci e, in generale, della conduzione diretta dell’azienda.
I suoi compiti sono vari però e hanno a che fare tutti con l’indirizzo del marketing aziendale… del quale, come vedremo, è grande ispiratore.
Inutile dire che questo nuovo DNA del consumatore appare a tutti molto strano. Stentiamo tutti a credere di poter partecipare attivamente alle scelte del comparto industriale. Procederemo per esempi utili, forse, a mostrare come tale cambio di pelle sia reale e verificabile.
3_ Il prosumer è un influencer
Avrete notato come sulla prima pagina di google appaiano pubblicità relative all’ultimo prodotto che abbiamo cercato.
Esprimendo un bisogno abbiamo ‘attivato’ un’area del mercato. Essa, da quel momento, ci accompagna. Non sa se abbiamo effettuato l’acquisto, magari l’abbiamo fatto in negozio. Questo dubbio non ferma la sua attività: per un certo lasso di tempo ci accompagna.
Questo nostro microbico ruolo di ‘influencer’ assume un peso strategico per le aziende se si somma a scelte simili di un gran numero di micro-influencer.
Il loro Marketing Digitale tiene in buona considerazione l’integrale di quelle scelte. Le analizza, pondera e interpreta con maggiore profondità quanto più è alto il numero dei micro-influencer.
Facciamo un esempio:
Estate, voglia di sandali. Su google scrivo: sandali. Continuo scartando quelli in plastica, senza tomaia anatomica, di colore rosso, che costano più di 250 euro, decorati, ecc…
Ho orientato il mercato? Beh … un po’ sì forse…
Le aziende che producono Sandali non sono in grado di seguirmi nella ricerca. Acquisteranno dai motori la sintesi della mia ricerca e ne faranno buon uso.
Se non sono così originale e le mie scelte confluiscono in una ‘main stream’ è bell’e fatto! Occorrerà promuovere presto un sandalo! Esso sarà in materiali naturali, con tomaia anatomica, probabilmente non rosso, con un prezzo inferiore a 150 euro, ecc…
4_Organizza il territorio
La geo-localizzazione permette, tra le altre cose, di capire da dove arriva una richiesta.
Mettete che, con me, altre mille persone a Milano, quartiere mio e limitrofi, abbiano fatto una ricerca simile alla mia. Beh, a quel punto, forse, un negozietto di sandali ci sta. Magari non rossi, con la tomaia anatomica, materiali naturali e via andare …
L’integrale delle mille richieste, prodotto di una lettura ponderata di costanti e variabili rispetto alla mia richiesta, del prezzo medio visualizzato e – magari – anche dei reali acquisti effettuati, orienta anche geograficamente la produzione.
Ciò, utile sottolinearlo forse, nonostante esista Amazon. Anche lei, infatti, lavora sulla geo-localizzazione. Predispone, di continuo, prodotti destinati a particolari bacini territoriali. I prezzi sono anch’essi ‘speciali’ grazie a una logistica specifica nata per il mercato locale.
5_ Programma la produzione
Noi prosumer non potevamo evitare di dare una mano anche nella programmazione dei flussi di vendita, ci vuole così poco!
Basta che l’azienda acquisti un software predittivo. Esso registra i nostri acquisti e li trasforma in grafici che interpreta trasformandoli in trend temporali. Quasi banale vero?
Sono conseguenze, è evidente forse, della potenza degli algoritmi che gestiscono i ‘Big Data’ cui accennavamo.
Tanto più sono grandi i database, tanto più si mostrerà azzeccata la programmazione dei probabili periodi dei saldi. Con buona pace delle associazioni di commercio.
L’avrete certamente notato, viviamo nell’epoca dei saldi personalizzati. Il saldo, in realtà, nasce quando il nostro letargo di consumo sposa altre simili abitudini. Fa scattare – su uno specifico prodotto, cercato e non acquistato – una strana, spesso repentina, inusuale offerta.
Intermezzo
Prima di andare avanti, e a proposito dell’avvicinamento del mercato B2B a quello B2C, una breve puntualizzazione.
Di tutta prima può sembrare strano. In realtà le logiche di ricerca e sviluppo di un prodotto nel B2B mirano, più che nel B2C, a massimizzare la ‘partecipazione’ del cliente.
I budget B2B, spesso più alti, comportano attività di approvvigionamento (condotte per lo più online) molto articolate. Al loro interno si analizza ogni aspetto del profilo del fornitore.
6_ Esiste un prosumer B2B?
Eravamo tentati di fare appello al progetto ‘Nike ID’, ectoplasma a metà tra prodotto, processo e servizio. Vorremmo invece, convergere subito sul mercato B2B.
Le differenze tra B2C e B2B
Il mondo B2B è spesso più discreto di quello cui appartiene il Brand citato. A ben vedere però, li unisce un’estesa base comune. Osserviamo un cliente B2B mentre naviga e incontra un prodotto interessante. Fatalmente spesso non è proprio quello che voleva … cambierebbe qualche dettaglio.
Le aziende più ‘avanti’ (che hanno fatto delle logiche ‘Custom Oriented’ una routine quotidiana) gli vanno incontro. Alle domande di personalizzazione si mostrarsi sempre disponibili.
Specie nelle fasce alte del mercato, tale disponibilità è considerata un vero e proprio ‘valore’ del brand. Il prodotto viene concepito, già nelle fasi di concept design, per accogliere un certo numero di ‘variabili di adattamento’. Tali variabili, se ben organizzate, non indeboliscono ma rafforzano il fascino del marchio che li ha prodotti. Dicendo ‘posso farlo anche come vuoi tu’ il marchio esprime grande potenza. Qualcosa di molto simile, pur considerate le differenze merceologiche, a quella di Nike dalla quale eravamo partiti.
Cosa unisce settori prima lontani
Sempre più spesso, questi nuovi metodi di produzione sono supportati da algoritmi di customizzazione. Software mirati alla gestione delle diverse variabili in gioco: opzioni estetiche, funzionali, di logistica e prezzo.
L’azienda, supportata dall’intelligenza artificiale, può arricchire la sua proposta. In suo aiuto cataloghi digitali predisposti per il cliente. Al loro interno egli può vedere come viene personalizzato il suo prodotto. Può navigare fra le varie opzioni fornite dal sistema e scegliere la sua personale release del prodotto di serie.
Al termine di questo percorso il prosumer avrà l’impressione di avere fatto ‘quasi’ tutto quello che voleva. Probabilmente sentirà ‘più suo’ il prodotto. Sarà anche più disponibile a collaborare con l’azienda fornitrice. Le fornirà (spesso da remoto) una serie di feedback che aiuteranno il fornitore nel capire ogni dettaglio dell’acquisto del prosumer.
Il prosumer è un partner fedele
Tali feed, assieme ai messaggi inviati direttamente dalla diagnostica del prodotto, saranno vere e proprie armi in mano al fornitore. Gli consentiranno di capire quale sia il momento opportuno per ricontattare il prosumer con una nuova offerta di nuovi prodotti.
Anche nel B2B, insomma, il prosumer acquista sempre più il ruolo di ‘partner’ aziendale. Aumenta la sua fedeltà perchè si sente ascoltato. Promuove l’innovazione con idee che derivano direttamente dal campo d’utilizzo. Fa risparmiare quattrini al fornitore con attività di controllo ‘sul posto’ che lui non potrebbe svolgere senza spese.
Due esempi …
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